Non affermate con leggerezza “era anziano, era malato, lo avrebbe ucciso anche una banale influenza.”
Un paziente oncologico lo sa.
Lo sa un immunodepresso, lo sa un anziano.
Sono quelli che portano al parco i nostri figli mentre noi siamo a lavorare, quelli che ci hanno insegnato a guidare e ad andare in bicicletta, che preparano le lasagne alla domenica, che imparano ad abituarsi al concetto di morte piano piano.
Che sanno che il tempo non si può invertire, che non vedranno crescere i nipoti e non li vedranno diventare uomini e donne, che non ci saranno il giorno della loro laurea o del loro matrimonio, che non li vedranno abbandonare il nido, trovare lavoro in giro per il mondo o comprare un appartamento sullo stesso pianerottolo di mamma, che è figlia loro.
E con quella scomoda compagna di viaggio, che il loro viaggio lo porterà a termine, ci convivono ogni giorno, senza abituarsi mai fino in fondo all’idea.
Noi genovesi lo sappiamo bene cosa significa un numero: 43, è il numero del ponte Morandi, dietro il quale si celano famiglie distrutte, giovani vite spezzate, storie interrotte, crollate insieme al viadotto autostradale.
E allora non facciamoci portare via anche quest’ultimo barlume di umanità, diamo un nome, un volto, una storia alle persone che hanno perso la vita in questi giorni per colpa di un banale virus sì, che poteva essere influenza e che ha colpito proprio loro, le fasce più deboli.
Abbracciamo le loro famiglie, che hanno perso un padre o una nonna, che forse è vero, sarebbero morti lo stesso; ma quanto ci sarebbe piaciuto tenerli stretti almeno un giorno in più.